domenica 8 settembre 2013

La minaccia e la ricompensa producono insegnamento?

di patrizia benevenga

Riporto di seguito un passo letto oggi tratto dal libro di Cialdini, famoso psicologo sociale, e che ha rispolverato nella mia mente una delle tante riflessioni che solitamente faccio sia in qualità di mamma che di maestra.

Con piacere lo condivido perché sono convinta che noi educatori siamo tutti d’accordo, ma nello stesso tempo tutti in difficoltà nel trovare una soluzione di fronte a determinati comportamenti contraddittori dei bambini.


Recita così:

“Le scienze sociali ci insegnano che la responsabilità interiore di un comportamento viene accettata quando si pensa di averlo eseguito per libera scelta, in assenza di forti pressioni dall’esterno.

Una grossa ricompensa costituisce una pressione del genere, che può indurci a compiere una certa azione, ma non farcene sentire pienamente responsabili. Non saremo quindi impegnati a mantenere una qualche coerenza con quell’atto.

Lo stesso vale per una forte minaccia, che può motivare un’acquiescenza immediata, ma difficilmente un impegno a lungo termine.”

Introduce, dunque, un concetto molto importante anche per quanto riguarda l’educazione dei bambini, facendoci porre questi interrogativi:

Quanto le ‘’minacce’’ o le “lusinghe” sono valide al fine di ottenere un’obbedienza a lungo termine da parte loro e non solo secondo circostanze diverse?

Quanto i bambini si sentono davvero responsabili delle azioni che noi chiediamo da loro? 


Si fa riferimento a tal proposito ad un noto e interessante esperimento di Freedman (1966-Compliance Without Pressure), eseguito con bambini dai sette ai nove anni, che non sto qui a descrivere, ma che appunto mette in discussione tale validità. 
Dimostra che finchè non avviene un "cambiamento interiore"  allora il nostro insegnamento non è stato interiorizzato dal bambino, e che 'punizioni' o 'ricompense' a nulla servono se non ad una temporanea obbedienza.
  

Per ottenere il suddetto cambiamento interiore, suggerisce di trovare l’esatta gradazione
dal semplice invito ad un leggero avvertimento, riducendo al minimo indispensabile la pressione esterna, in modo che il bambino sia spinto ad eseguire il comportamento desiderato e nello stesso tempo sentirsene responsabile.

Non è un compito facile, si sottolinea, ma merita svolgerlo per ottenere un impegno duraturo, invece che “un conformismo passivo di breve respiro”.

“Lavoro meglio se sono io a volerlo fare, non se devo farlo. Se lo voglio fare, è per me; se lo devo fare, è per altri. La nostra motivazione interiore dipende dalla libertà di scelta.” John Whitmore

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