sabato 30 gennaio 2016

"Oggi una ragazza della mia città ha cercato di uccidersi", lettera di un professore.

La notizia della ragazzina di Pordenone, che qualche giorno fa ha tentato di uccidersi, ha fatto il giro del web e delle principali TV nazionali. Aveva deciso di farla finita, accompagnando il suo gesto con un messaggio semplice, diretto: "Adesso sarete contenti".

Sono molte le considerazioni che si possono fare di fronte a gesti del genere, sia rispetto al gesto in sé, sia rispetto a ciò che precede e sta alla base di una decisione così drammatica, presa da una fanciulla giovanissima e con l'intera vita davanti.

Riportiamo di seguito, ripescandola nella miriade di articoli, commenti e diagnosi che hanno seguito il gesto della dodicenne, la lettera di un insegnante, Enrico Galliano.

Nella lettera ci sono considerazioni che, certo, affrontano la questione da uno specifico punto di vista e non da altri, ma che sono molto dirette, esplicite e attuali.
Grazie al collega Enrico Galliano.


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Oggi una ragazza della mia città ha cercato di uccidersi.

Ha preso e si è buttata dal secondo piano.

No, non è morta. Ma la botta che ha preso ha rischiato di prenderle la spina dorsale. Per poco non le succedeva qualcosa di forse peggiore della morte: la condanna a restare tutta la vita immobile e senza poter comunicare con gli altri normalmente.


“Adesso sarete contenti”, ha scritto. Parlava ai suoi compagni.

Allora io adesso vi dico una cosa. E sarò un po’ duro, vi avverto. Ma c’ho ‘sta cosa dentro ed è difficile lasciarla lì.

Quando la finirete?
Quando finirete di mettervi in due, in tre, in cinque, in dieci contro uno?
Quando finirete di far finta che le parole non siano importanti, che siano “solo parole”, che non abbiano conseguenze, e poi di mettervi lì a scrivere quei messaggi – li ho letti, sì, i messaggi che siete capaci di scrivere – tutte le vostre “troia di merda”, i vostri “figlio di puttana”, i vostri “devi morire”.
Quando la finirete di dire “Ma sì, io scherzavo” dopo essere stati capaci di scrivere “non meriti di esistere”?
Quando la finirete di ridere, e di ridere così forte, quando passa la ragazza grassa, quando la finirete di indicare col dito il ragazzo “che ha il professore di sostegno”, quando la finirete di dividere il mondo in fighi e sfigati?
Che cosa deve ancora succedere, perché la finiate? Che cosa aspettate? Che tocchi al vostro compagno, alla vostra amica, a vostra sorella, a voi?
E poi voi. Voi genitori, sì. Voi che i vostri figli sono quelli capaci di scrivere certi messaggi. O quelli che ridono così forte.
Quando la finirete di chiudere un occhio?
Quando la finirete di dire “Ma sì, ragazzate”?
Quando la finirete di non avere idea di che diavolo ci fanno 8 ore al giorno i vostri figli con quel telefono?
Quando la finirete di non leggere neanche le note e le comunicazioni che scriviamo sul libretto personale?
Quando la finirete di venire da noi insegnanti una volta l’anno (se va bene)?
Quando inizierete a spiegare ai vostri figli che la diversità non è una malattia, o un fatto da deridere, quando inizierete a non essere voi i primi a farlo, perché da sempre non sono le parole ma gli esempi, gli insegnamenti migliori?
Perché quando una ragazzina di dodici anni prova a buttarsi di sotto, non è solo una ragazzina di dodici anni che lo sta facendo: siamo tutti noi. E se una ragazzina di quell’età decide di buttarsi, non lo sta facendo da sola: una piccola spinta arriva da tutti quelli che erano lì non hanno visto, non hanno fatto, non hanno detto.
E tutti noi, proprio tutti, siamo quelli che quando succedono cose come questa devono vedere, fare, dire. Anzi urlare. Una parola, una sola, che è: “Basta”.

L'ha scritta il prof Enrico Galliano di PN. 

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